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Le vostre domande sul mentoring Narrativo Diarioterapico
1 . Domanda di Donatella Zurru (Milano) a MENTORING narrativo diarioterapico (tratto dal NOSTRO PROFILO FACEBOOK) - 18 luglio 2014
"Domanda o discussione aperta: diario terapia e disabilità psichica.....secondo voi è possibile e come? qualcosa da suggerire?..(anche testi da leggere) GRAZIE."
Risposta:
Ciao Donatella, nel mio ebook "Diarioterapia e adolescenza. Il Diario come risorsa nell'intervento educativo" (Ed.Circolo Virtuoso, Lecce) si parla di questo argomento. Cogliendo la tua interessante domanda, voglio raccontarti una storia realmente accaduta.
E' la storia di un adolescente con disabilità psichica che, attraverso l'approccio autonarrativo scritto, stimolato e guidato da educatrici sensibili e competenti, riesce ad intraprendere un percorso educativo personalizzato fatto di alti e di bassi fino a raggiungere un suo punto alto di autorealizzazione e di autodeterminazione scolastica, professionale e sociale. Come si capirà dal racconto, l’approccio autonarrativo non si limita alla creazione di spazi mentali di natura intimistica, ma mira al cuore del problema, alla ri-progettazione dell’esistenza. In una parola, a riaprire il “discorso” della vita.
La storia che ti racconto è quella di Giuseppe G., un ragazzo palermitano con un deficit cognitivo di media entità. Un paio di anni fa ha raggiunto un importante traguardo, ottenendo la maturità in un istituto professionale (tecnico chimico-biologico), seppur con i requisiti ridotti. Non è stato facile. Alcune settimane prima dell’esame, spaventatissimo, Giuseppe ripete nozioni su nozioni insieme all’insegnante di sostegno senza riuscire a trattenere nulla. La situazione ha una svolta decisiva quando l’insegnante chiede aiuto a Luisa, docente di lettere che ha esperienza di tecniche narrative con bambini ed adolescenti in difficoltà. Per giorni e giorni i due si chiudono in laboratorio.
“Raccontami la tua storia”, gli chiede Luisa. Giuseppe quasi non riesce a parlare, non è abituato a comunicare - neppure a se stesso - pensieri ed emozioni, preferisce esprimersi attraverso il suono di un flauto. “Quando suono sento come una scarica elettrica dentro”, le dice. “Porta il flauto”, lo incoraggia Luisa. E così, tra una melodia e l’altra, in mezzo a provette ed alambicchi, Giuseppe prova a narrare e a scrivere frammenti della sua storia. Famiglia poverissima, padre disoccupato e madre che si arrangia come può. Una vita grigia e piatta senza gioia fin quando il bambino approda alla prima media. L’insegnante di musica si “accorge” di lui, timido ed impacciato, seduto in un angolo. Apprezza la sua voce, lo invita a partecipare ad un coro di voci bianche.
Ma Giuseppe non riesce a cantare in pubblico, si emoziona troppo, mentre diventa sciolto e padrone di sé quando suona il flauto. Su consiglio dell’insegnante il ragazzo prova ad entrare al conservatorio: è ammesso facilmente, riconosciuto come promettente talento per la musica. Terminata la scuola media, la madre lo iscrive ad una scuola professionale di tecnico chimico-biologico per dargli un mestiere. Ma Giuseppe non è portato per il laboratorio, da subito combina diversi guai, brucia il camice con la fiamma del becco bunsen. Ad un certo punto gli viene persino impedito l’accesso ai laboratori.
La madre lo costringe a lasciare il conservatorio che secondo lei ruba tempo allo studio. Ma avviene il disastro totale. Giuseppe è bocciato al primo anno di scuola e gli viene diagnosticato un deficit cognitivo di media entità (difficoltà di comprensione di concetti complessi, problemi di memoria, di concentrazione). Il ragazzo è moralmente a pezzi, senza alcuna fiducia in se stesso. Tenta di iscriversi nuovamente al conservatorio ma non passa l’esame di accesso che nel frattempo è diventato più selettivo. Anche suonare non gli viene più facile come una volta. E non riesce ad esercitarsi a casa, dove regnano le scenate tra il padre e la madre (resi nervosi dalle crescenti difficoltà), ed il rumore della televisione perennemente accesa. A scuola gli viene assegnata una insegnante di sostegno, una psicologa affettuosa e sensibile che gli permette di portare avanti il suo percorso fino alla maturità: i due procedono con grandissima difficoltà, sempre ai margini di una effettiva partecipazione alla vita scolastica. La musica rimane il sogno di Giuseppe. Nei momenti liberi prende lezioni private di pianoforte e spera di accedere al conservatorio.
La madre, oppressa dai sensi di colpa, adesso sogna il suo stesso sogno: sgobba dalla mattina alla sera, come donna delle pulizie, per pagare le lezioni al figlio. Ma Giuseppe riuscirà a farcela o dovrà ridimensionare il suo sogno, mantenendo sempre viva la passione per la musica? Pensando magari di suonare in una banda di quartiere o di accompagnare il coro di una chiesa piuttosto che esibirsi in una orchestra? Luisa e l’insegnante di sostegno lo invitano a considerare tutte le possibilità, ad elaborare un progetto di vita…
Giuseppe scriverà il suo progetto di vita nel tema di maturità (sceglie, al pari di altri compagni, il tema ministeriale sul rapporto tra i ragazzi e la musica) facendo un figurone. La sua diversità in quel momento gli appare una leggera differenza che non lo emargina in un mondo invisibile e disabitato. Farà un figurone anche agli esami orali, aprendo e chiudendo l’esame suonando una melodia al flauto. Il piccolo pubblico presente - i commissari, la madre, l’insegnante di sostegno, Luisa, qualche compagno - si alza in piedi applaudendo, come in teatro dopo una esibizione ben riuscita. “Non vi dimenticate di lui - si raccomanda la madre con le lacrime agli occhi - non vi dimenticate di lui…”.
Un bel libro che ti posso consigliare è quello scritto dal neuropsichiatra Boris Cyrulnik : “Autobiografia di uno spaventapasseri. Strategie per superare le esperienze traumatiche”, Cortina Editore.